08/03/12

Orchi e streghe


Capitolo 8: La fuga disperata di Rosina.

Rosina udì la porta principale prima aprirsi, poi essere sbattuta con violenza, faccendo tremare tutto ciò che vi fosse attorno. Rosi sapeva di avere poco tempo, spense i rubinetti agli occhi, uscì dal mobile delle pentole guardandosi intorno. Una volta fuori ignorò le finestre, si diresse verso il camino, trovandosi davanti lo straccio lordo di liquido rosso che penzolava dalla stufa, si fece forza e proseguì. Il fuoco era quasi spento, ma c’era ancora un po’ di brace, si diresse rapidamente verso la bottiglia che aveva lasciato in un angolo. La sollevò con entrambe le mani, non senza sforzo, e tornata al camino vi versò sopra tutta l’acqua contenuta. Rosina mise la testa nel camino guardò verso l’alto, la canna fumaria era abbastanza larga, ed era completamente in mattoni. I mattoni di cui era composta non erano posati in maniera omogenea fornivano appigli su cui ci si poteva arrampicare. Il mostro pareva essere scomparso. Rosina era intenta a raggiungere la cima del comignolo, mettere piedi e mani nel posto giusto era un operazione che richiedeva un po’ di tempo. Rosina era circa a metà strada, quando sentì un urlo inumano sotto di lei. Rosina guardò in basso vedendo la testa del mostro che la guardava, si sforzò di non farsi prendere dal panico, era certa al 1000% che quell’essere non sarebbe “mai” riuscito ad arrampicarsi in quel buco. Rosi riprese la salita, cercando di mantenere il ritmo. Era salita di almeno un altro metro e mezzo, quando udì uno strano trafficare unito ai soliti borbotti. La bimba guardò nuovamente verso il basso e notò che il mostro aveva piazzato un grosso mucchio di fieno nel camino. Rosina aveva annacquato il carbone per cui dubitava che il fuoco potesse divampare “ se permetti me ne infischio, certo è meglio se non rischio!” la bambina non si capacitava del fatto che le potessero venire alla mente rime stupide in un momento come quello “anche se questa era bellina o no??”. Rosina accelerò il passo, avanzò di almeno 2 metri, prima di perdere la presa sul piede sinistro. In quel’istante Rosi pensò seriamente che forse sarebbe stato meglio se il fratello l’avesse  acchiappata, qualsiasi cosa le avesse fatto… beh per lo meno non l’avrebbe uccisa. Rosina si fece forza sulle braccia ritrovò una nuova posizione, mezzo metro più avanti dovette utilizzare tutte le sue forze per scavalcare. Raggiunse il tetto stremata, si sedette un attimo sulle tegole bagnate, più per forza che per volontà, la bambina si guardò intorno respirando affannosamente. La notte era quasi finita ed il sole seppur ancora assente, cominciava a stendere i suoi primi raggi sul suolo terrestre. Il respiro di Rosi, era ancora affannoso, ma iniziava a calmarsi, sentiva un leggero bruciore al sopraciglio sinistro, non ci aveva fatto caso durante la fuga, ma ora era un po’ fastidioso. Rosi si controllò con le dita dove le doleva, c’era del liquido sul sopraciglio, non servi controllare le dita per capire di cosa si trattasse, ad ogni modo rimase qualche secondo a fissare la propria mano impiastricciata di sangue, doveva averglielo fatto il mostro con l’artiglio della mano, quando lei si era rannicchiata nel mobile della cucina.
Si senti una porta sbattere, dal piano terra, poi solo urla e versi senza senso, Rosina si alzò controvoglia e guardò giù, il mostro stava a una decina di metri dalla casa, oltre che ad urlare si era messo a correre e saltare da una parte all’altra come una mosca impazzita.
Arghhh … rorggkkkk.. crorhhshsh… annunciò l’essere, fissandola e indicando col dito per terra. La ragazzina si spostò sul lato destro del tetto, uno dei rami dell’albero di mele superava il tetto della casa, pareva abbastanza robusto. Salì sul grosso ramo e gattonando arrivo fino alla base del tronco. Il mostro si era messo le mani in testa e si sgolava sempre di più, agitandosi come un pazzo… haurghhahahahah… La strana creatura piombò sotto l’albero, continuando ad indicare il pavimento con il dito, nel frattempo Rosina acchiappò una mela acerba, e con grande sorpresa centro il mostro sulla fronte. L’essere in un primo momento fisso terra silenzioso, per poi riprendere ad urlare ancora più inferocito. 

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