Capitolo
8: La fuga disperata di Rosina.
Rosina
udì la porta principale prima aprirsi, poi essere sbattuta con violenza, faccendo
tremare tutto ciò che vi fosse attorno. Rosi sapeva di avere poco tempo, spense
i rubinetti agli occhi, uscì dal mobile delle pentole guardandosi intorno. Una
volta fuori ignorò le finestre, si diresse verso il camino, trovandosi davanti lo
straccio lordo di liquido rosso che penzolava dalla stufa, si fece forza e
proseguì. Il fuoco era quasi spento, ma c’era ancora un po’ di brace, si
diresse rapidamente verso la bottiglia che aveva lasciato in un angolo. La
sollevò con entrambe le mani, non senza sforzo, e tornata al camino vi versò
sopra tutta l’acqua contenuta. Rosina mise la testa nel camino guardò verso
l’alto, la canna fumaria era abbastanza larga, ed era completamente in mattoni.
I mattoni di cui era composta non erano posati in maniera omogenea fornivano
appigli su cui ci si poteva arrampicare. Il mostro pareva essere scomparso.
Rosina era intenta a raggiungere la cima del comignolo, mettere piedi e mani
nel posto giusto era un operazione che richiedeva un po’ di tempo. Rosina era
circa a metà strada, quando sentì un urlo inumano sotto di lei. Rosina guardò
in basso vedendo la testa del mostro che la guardava, si sforzò di non farsi
prendere dal panico, era certa al 1000% che quell’essere non sarebbe “mai” riuscito ad arrampicarsi in quel
buco. Rosi riprese la salita, cercando di mantenere il ritmo. Era salita di
almeno un altro metro e mezzo, quando udì uno strano trafficare unito ai soliti
borbotti. La bimba guardò nuovamente verso il basso e notò che il mostro aveva
piazzato un grosso mucchio di fieno nel camino. Rosina aveva annacquato il
carbone per cui dubitava che il fuoco potesse divampare “ se permetti me ne infischio, certo è meglio se non rischio!” la
bambina non si capacitava del fatto che le potessero venire alla mente rime
stupide in un momento come quello “anche
se questa era bellina o no??”. Rosina accelerò il passo, avanzò di almeno 2 metri , prima di perdere
la presa sul piede sinistro. In quel’istante Rosi pensò seriamente che forse
sarebbe stato meglio se il fratello l’avesse
acchiappata, qualsiasi cosa le avesse fatto… beh per lo meno non
l’avrebbe uccisa. Rosina si fece forza sulle braccia ritrovò una nuova
posizione, mezzo metro più avanti dovette utilizzare tutte le sue forze per
scavalcare. Raggiunse il tetto stremata, si sedette un attimo sulle tegole bagnate,
più per forza che per volontà, la bambina si guardò intorno respirando
affannosamente. La notte era quasi finita ed il sole seppur ancora assente,
cominciava a stendere i suoi primi raggi sul suolo terrestre. Il respiro di
Rosi, era ancora affannoso, ma iniziava a calmarsi, sentiva un leggero bruciore
al sopraciglio sinistro, non ci aveva fatto caso durante la fuga, ma ora era un
po’ fastidioso. Rosi si controllò con le dita dove le doleva, c’era del liquido
sul sopraciglio, non servi controllare le dita per capire di cosa si trattasse,
ad ogni modo rimase qualche secondo a fissare la propria mano impiastricciata
di sangue, doveva averglielo fatto il mostro con l’artiglio della mano, quando
lei si era rannicchiata nel mobile della cucina.
Si
senti una porta sbattere, dal piano terra, poi solo urla e versi senza senso,
Rosina si alzò controvoglia e guardò giù, il mostro stava a una decina di metri
dalla casa, oltre che ad urlare si era messo a correre e saltare da una parte
all’altra come una mosca impazzita.
Arghhh … rorggkkkk..
crorhhshsh… annunciò
l’essere, fissandola e indicando col dito per terra. La ragazzina si spostò sul
lato destro del tetto, uno dei rami dell’albero di mele superava il tetto della
casa, pareva abbastanza robusto. Salì sul grosso ramo e gattonando arrivo fino
alla base del tronco. Il mostro si era messo le mani in testa e si sgolava
sempre di più, agitandosi come un pazzo… haurghhahahahah…
La strana creatura piombò sotto l’albero, continuando ad indicare il pavimento
con il dito, nel frattempo Rosina acchiappò una mela acerba, e con grande sorpresa
centro il mostro sulla fronte. L’essere in un primo momento fisso terra
silenzioso, per poi riprendere ad urlare ancora più inferocito.
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