17/09/12

All'inferno e...Ritorno Capitolo 4: The day after


La mattina seguente fui svegliato bruscamente dalla Padrona.
"Sbrigati ad alzarti e seguimi in cucina" furono le sue parole.
Educatamente risposi "buongiorno Federica".
"Iniziamo male la giornata, schiavo", fu la sua replica, "ma ne riparleremo più tardi".
Non capivo il motivo della sua insofferenza, forse perché ero ancora addormentato, ma la seguii in cucina, come mi aveva ordinato, nudo come mi aveva lasciato la sera prima. Aprì un cassetto dall'armadio ed estrasse un grembiule da cucina. Sulla sedia era già appoggiato un collare simile a quello dei cani. Lo prese in mano assieme al grembiule e mi chiese:
"Quando riprendi il lavoro?"
"Il primo di settembre", le risposi.
"Bene, quando andrai al lavoro dovrai essere vestito in modo ineccepibile, così come ti vestivi quando abitavi a casa della tua troia. Quando rientri qui, gli unici tuoi abiti dovranno essere questo collare e questo grembiule e null'altro. Avanti indossali!"
Li indossai e, guardandomi così acconciato, mi vidi buffo. Lei invece mi apprezzò, dopo di che mi ordinò di prepararle il caffè. Presi la caffettiera, preparai il caffè e poi la posai sulla fiamma del gas. Mentre aspettavamo mi diede alcune disposizioni:
"Ogni mattina, alle 7, voglio il caffè a letto con una punta di cucchiaino di zucchero. Vedi di osservare bene quanto ne metto oggi perché se mi prepari un caffè troppo dolce o troppo amaro per te saranno guai. Inoltre, nei giorni in cui non andrai a lavorare, dovrai provvedere alla pulizia della casa. Siamo intesi?"
"Si", risposi tiepidamente.
Nel frattempo il caffè era pronto. Presi il piattino, il cucchiaino e la tazzina e lo versai. Le porsi la zuccheriera e feci molta attenzione a quanto zucchero metteva. Era proprio una punta di cucchiaino, praticamente quasi amaro. Lo sorseggiò quasi tutto lasciandone pochissimo nel fondo della tazzina e poi disse:
"A te piace macchiato, vero?"
"Veramente lo prendo sempre liscio" fu la mia risposta.
"Bene, anzi, male. D'ora in avanti lo berrai sempre macchiato. ok?"
Dicendo queste parole afferrò la tazzina e sputò dentro diverse volte fino a quando il colore del poco caffè si fosse schiarito.
"Ecco la tua colazione! Ogni mattina caffè macchiato", mi disse accennando ad una risata.
Lo bevvi tutto d'un fiato e la cosa non mi fece schifo, anzi. Era un modo come un altro di attingere a lei, berla, apprezzarla; poi accennai timidamente:
"Miss, non ho mai fatto lo schiavo, non so se sarò all'altezza della situazione".
Lei mi guardò ed il suo sguardo fu come un lanciafiamme. Capii che l'avevo fatta grossa. Lei non obiettò ma si limitò a dire:
"Seguimi!!"
La seguii tremolante di paura e quando la vidi indirizzarsi verso la stanza dove avevamo trascorso la serata precedente la paura diventò terrore.
"SIEDITI E TOGLITI IL GREMBIULE!!!" fu il suo ordine e poi aggiunse: "Vedo che le 2 lettere dell'alfabeto di ieri sera non ti sono entrate bene in testa. Bisogna appuntarle meglio".
Mentre proferiva queste parole aprì un cassetto ed estrasse una scatolina metallica e due bracciali in pelle con annesso un anello metallico. Mi applicò i bracciali ai polsi e poi aggiunse:
"I comandamenti che lo schiavo deve assolutamente rispettare sono pochi, sono solo 2: il primo recita LA MISS COMANDA, ed il secondo LO SCHIAVO OBBEDISCE. Hai capito ora?"
Quelle parole scandite con assoluta forza e severità mi erano entrate eccome. Risposi come si conviene ad uno schiavo:
"Si Miss, ho capito perfettamente. Lei comanda ed io obbedisco".
"Vedo che cominciamo a ragionare, ma voglio essere sicura che tu abbia capito che a comandare sono solo io, Miss Federica, per cui voglio appuntare bene la S e la F"
Non capii cosa volesse dire con la parola appuntare. Prese la scatolina metallica e si mise dietro di me in modo che non la potessi vedere. Sentii solo il rumore della scatolina che si apriva. Mi disse di chiudere gli occhi poi lei cominciò ad accarezzarmi i capelli per poi scendere lungo il petto. Mi prese i capezzoli e me li strinse sino a farli ingrossare. Poi all'improvviso sentii una stilettata molto dolorosa. Istintivamente aprii gli occhi e vidi la testa di uno spillo. Mi aveva infilzato un capezzolo. Lei non mi rimproverò per aver aperto gli occhi, anzi, mi disse:
"Ora che hai visto quello che ti ho fatto ad un capezzolo ti do il permesso di ammirare quello che farò all'altro".
La vidi prendere un altro spillo, afferrare l'altro capezzolo e ripetere l'operazione. Un'altra fitta dolorosa pervase il mio petto. Poi si allontanò dalla sedia, la vidi armeggiare attorno ad una manovella che governava una carrucola e vidi calare dal soffitto una catena con un gancio.
"Alzati in piedi, vieni qua".
Obbedii senza fiatare. Mi avvicinai a lei, mi prese i polsi e fece passare il gancio ad entrambi gli anelli. Poi ritornò verso la manovella ed iniziò ad azionarla. Lentamente, ma inesorabilmente le mie braccia si alzarono. Si fermò un attimo quando ero praticamente in punta di piedi, sogghignò e poi diede un ultimo giro. Ora ero sollevato da terra ed appeso come un salame.
"Rimarrai appeso con gli spilli appuntati finché non torno. Nel frattempo guardati attorno e vedi quanti begli oggetti ci sono in questa stanza. Tutti per il nostro, anzi MIO, divertimento".
Dicendo queste parole prese il mio corpo all'altezza della vita e lo fece girare come una trottola in modo tale che potessi vedere tutte le pareti, poi uscì dalla stanza. La sera prima, dolorante, ero uscito a testa china e non avevo nemmeno notato tutto il ben di dio appeso alle pareti o appoggiato sui mobili. Fruste di diverse dimensioni, corde, catene, ceri e candele varie. Ad una parete c'erano due tavole poste ad X con alle estremità 4 bracciali in pelle simili a quelli che avevo addosso ai polsi. E poi, falli artificiali, strani oggetti metallici di cui ignoravo l'esistenza e l'uso che si potesse fare. Non oso immaginare cosa ci fosse all'interno dei mobili. Il mio corpo smise di girare quando di fronte a me c'erano tutte le fruste. Nel mentre i capezzoli mi facevano sempre più male ed anche i polsi cominciavano a soffrire del peso che dovevano sostenere. Passò un buon quarto d'ora prima che la Miss rientrasse in stanza dicendo:
"Vediamo vediamo dove la sorte ha fatto fermare il tuo sguardo". Un sorriso sarcastico accompagnò la vista delle fruste che si trovavano proprio di fronte a me. Si avvicinò alla parete e ne prese in mano una. Tra me pensai: speriamo che abbia preso quella meno dolorosa. Si avvicinò e mi disse:
"Questa mattina mi hai dato il buongiorno in modo scorretto ed ora devo punirti. Tu hai scelto di fermarti davanti alle fruste ed eccomi qua, ma non so dove frustarti. Sul petto? Sulla schiena? Sulle natiche? Sul tuo sesso? Facciamo un bel gioco".
Mi prese e mi girò nuovamente come una trottola, poi afferrò nuovamente la frusta e mi diede una sferzata all'altezza della vita. Sentii un dolore atroce avvolgere tutto il mio corpo. Girando, infatti, la frusta mi aveva colpito sia davanti che dietro che ad entrambi i fianchi. Reclinai la testa dal dolore sperando che tutto fosse finito lì. Fortunatamente la vidi indirizzarsi verso la manovella, mi fece scendere a terra, mi liberò i polsi e tolse gli spilli. Disse solamente poche parole:
"Sono certa che la S e la F ora sono appuntate bene nella tua mente".
Rimisi il grembiule e, dolorante, la seguii in cucina. La vidi prendere la sua borsetta e mi salutò dicendomi:
"Ora devo andare con 2 amiche in città. Non pranzo a casa. Rientrerò assieme a loro nel primo pomeriggio. Voglio presentarti anche a loro. Durante queste ore riposati pure sul divano perché nel pomeriggio ti voglio in massima forma".
Chiuse a chiave la porta ed uscì, lasciandomi solo in casa. Solo con i miei pensieri. I capezzoli e tutto il busto mi facevano male, ma ero consapevole di aver dato piacere alla mia padrona (o forse mi illudevo che così fosse). Volevo approfittare per visitare la casa, ma non avevo la forza nemmeno di alzarmi così rimasi disteso sul divano. In fondo avevo dormito tutta la notte per terra.

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